6 luglio 2018 - 19:31

La modernità di Gerda Taro
Scatti di guerra, vita e cinema

La vittoria allo Strega di Helena Janeczek con il romanzo «La ragazza con la Leica» riporta l’attenzione sulla complessa figura della fotografa, moglie di Robert Capa
- Strega 2018 a Helena Janeczek. Dopo 15 anni il premio è donna di Emilia Costantini

di ARTURO CARLO QUINTAVALLE

Gerda Taro (1910-1937) con il marito Robert Capa (1913-1954) Gerda Taro (1910-1937) con il marito Robert Capa (1913-1954)
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Certo, lo Strega va giustamente a Helena Janeczek per La ragazza con la Leica (Guanda) e lei stessa ricorda che di indagini ne ha fatte molte, ma il suo è un romanzo ma prima di quello ci sono state altre ricerche, quelle che la figura di Gerda Taro (Gerta Pohorylle, tedesca) hanno riscoperto, definito. E sono quelle di Irme Schaber e di Richard Whelan sopra tutti. Riscoperto, ho detto, ma sarebbe meglio dire hanno separato, le fotografie di Gerda da quelle del marito Robert (Bob) Capa, indagando prima di tutto nell’archivio di Robert Capa, all’IBC, International Center of Photography del fratello Cornell, e poi ricostruendo le pagine dei settimanali, analizzando le stampe e i negativi perché, appunto, «la ragazza con la Leica», che era quella datale da Bob Capa, in origine è «la ragazza con la Rolleiflex». Insomma Gerda comincia a fotografare usando un negativo 6x6, quadrato, che vuol dire modo di comporre e tempi di posa diversi, poi sceglierà il taglio rettangolare, il 24x36 mm.

La ricerca dunque ha individuato almeno un paio di centinaia di fotografie certamente attribuibili a Gerda Taro e sono sopra tutto quelle scattate sul fronte, o nelle retrovie del fronte della Guerra Civile Spagnola, dove Gerda riprende, spesso insieme con Bob, ma tante altre per proprio conto, creando un modo diverso di fare storia. Così in una doppia pagina di «Vu» del 29 agosto 1936 sotto il titolo Quand les femmes se mèlent. Portraits de miliciennes ecco foto nuove: un controluce con la fila delle donne, tre delle quali imbracciano moschetti; dettagli delle donne col fucile, sorridenti e scorciate da sotto, e poi particolari della istruzione alle armi, e ritratti da vicino, anche di una crocerossina. C’è una foto dell’agosto del 1936 di una ragazza in ginocchio, controluce, di profilo che, sulla spiaggia vicino a Barcellona, impugna un pistola; in un’altra foto ecco cinque miliziane di scorcio. Da dove vengono queste scelte tematiche, questi tagli? Certo, a volte Gerda insiste sui ritratti di costume, sembra la Parigi di Cartier Bresson spostata a Barcellona, ma, nella maggior parte dei casi, nelle sue foto prevale un accento epico, come in una foto dei Tre miliziani, visti di scorcio, del 1936. Ecco un miliziano repubblicano, sul fronte di Aragona, che sorride con accanto cinque ragazzini, attorno il vuoto della campagna; ecco una miliziana, scorciata dal basso, che carica una fascina di legna; ecco i contadini che setacciano la pula per conservare il grano oppure caricano la pula e la paglia su un carro: siamo ancora sul fronte di Aragona nel 1936. Ma da dove prende ispirazione, da dove muove Gerda per individuare queste immagini?

Rispetto a quelle di guerra, che pure riprende sempre con grande rischio, c’è un epos diverso, inconfondibile, e sembra davvero che Gerda, in foto come il Contadino sulle balle di fieno (1936), voglia evocare il film sovietico, prima di tutti quello di Sergei Eisenstein, ma ancora di Dziga Vertov e di Vselolod Pudovkin, film che Gerda aveva visto a Parigi e che ora tornano, con la loro forza, con i loro scorci, con la loro passione. Una copertina di «Volks-Illustrierte» del 30 giugno 1937 propone un dettaglio di una foto di Gerda: la madre, i bambini, una vecchia in un angolo: i volti della ritirata, i volti dei civili reietti; siamo nel febbraio 1937. Ma c’è una serie di foto di Gerda che sono ancora più indicative, sono le riprese della Corazzata Jaime I: uno scorcio del castello di prua, un marinaio di guardia, i marinai che attorno a quello che suona la fisarmonica sorridono, gruppo scorciato da sotto; ecco, siamo davanti a un vero omaggio alla Corazzata Potëmkin, il film di Eisenstein; del resto sono sempre legate al grande regista sovietico foto come Lealista cavallo, febbraio 1937.

Gerda è una attenta narratrice e anche quando, con Bob Capa, ricostruisce la battaglia di Guadalajara (e ne pubblica le foto nel numero di «Regard» dell’1 aprile 1937), battaglia che segna la momentanea sconfitta delle truppe fasciste, la sua idea è sempre di comporre forti primi piani e, appena possibile, abbassare il punto di ripresa per costruire un racconto «epico» nel segno del grande regista sovietico e delle sue teorie. Se proviamo a riflettere su quello che Eisenstein individua come «tipico», il singolo personaggio che vale per un tutto, e pensiamo alle scelte parallele di Bertold Brecht, capiamo la novità, anche rispetto a Robert Capa, della Taro: riprendere i protagonisti non basta, si deve scegliere il loro valore simbolico. Ed ecco Tre soldati al passo di Nava Cerrada presso Segovia (inizi giugno 1937), o ancora Due soldati di schiena che portano un ferito sulla barella, e ancora Un gruppo di soldati attorno a una barella insanguinata; tutti mostrano l’altro aspetto della guerra, la sofferenza, la morte, ma anche il lavoro, come gli Operai nella fabbrica di munizioni di Madrid, non una catena alienante di montaggio come in Modern Times ma l’impegno individuale, un ritratto in primo piano denso di attenzione, partecipazione.

È tempo insomma che ci si confronti con il nuovo linguaggio di Gerda Taro, legato ai grandi registi sovietici, e lo si distingua, con le sue scelte di racconto, da quello teso sempre a cogliere un diapason, una tensione, di Robert Capa. Gerda sapeva raccontare lo spazio del dolore, la passione dei contadini, dei soldati, ma anche l’orrore del quotidiano. La morte prematura, al fronte, ne ha fatto un mito ma, forse, è necessario capire il suo stile, le sue scelte, per cogliere la novità della sua fotografia.

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