5 maggio 2020 - 06:48

Giacomo Poretti: «Ex infermiere malato di Covid, che paura ho avuto di finire in ospedale»

L’attore e comico milanese: «La cosa che mi pesava di più era rispondere a tanti amici preziosi che si preoccupavano per la mia salute. Mi ha fatto compagnia la tv: ho vinto con l’Inter almeno 53 Champions...»

di Elisabetta Soglio

Giacomo Poretti: «Ex infermiere malato di Covid, che paura ho avuto di finire in ospedale»
shadow

La tempesta perfetta si è accanita più o meno così: prima l’avventura di un teatro da gestire, un film ancora lanciato nelle sale d’Italia, uno spettacolo con 35 date davanti. E poi il coronavirus. Che non solo ha cancellato programmazioni e incassi. Ma che lo ha colpito in pieno: «Andavo a letto alla sera con la febbre e l’angoscia di dover andare in ospedale. Perché io che ho fatto l’infermiere lo so bene cos’è una terapia intensiva...». Giacomo Poretti adesso sta bene. Da cinque settimane i sintomi sono scomparsi, il tampone è negativo e con grande cautela ha messo il naso fuori casa dopo giorni «davvero terribili».

Il Corriere ha creato una newsletter sul virus - e la fase 2. È gratis: ci si iscrive qui

Insomma si è spaventato davvero?
«Moltissimo. Per fortuna nel mio palazzo abitano alcuni medici e mi hanno fatto sentire molto protetto. Anche se tutti ripetevano: “L’importante è che tu non abbia problemi a respirare”. E così avevo quest’angoscia del respiro che mi assaliva soprattutto alla sera».

Lei aveva fatto l’infermiere prima di iniziare la carriera di autore e comico: che effetto le hanno fatto le immagini di tutti gli operatori con i volti segnati dalle mascherine?
«Ovviamente mi hanno molto impressionato e li pensavo di continuo. E mi ha colpito come questa vicenda ha fatto cambiare anche la nostra percezione dell’ospedale: di solito vai all’ospedale e lo vedi comunque come un posto sicuro. Invece in quei giorni l’ospedale pareva diventato l’anticamera di una cosa orribile e dovevi sperare di non arrivarci».

A casa come è andata?
«Mia moglie Daniela si è ammalata qualche giorno dopo di me, ma la sua febbre è sparita nel giro di poco. Nostro figlio fortunatamente non ha avuto sintomi. Io mi sono chiuso nel mio studio, dopo la fase acuta ho cominciato ad uscire ogni tanto stando molto lontano da loro per cercare di mangiare qualcosa».

La cosa più difficile?
«Quella che mi pesava di più era rispondere ogni giorno a tanti amici formidabili e preziosi che si preoccupavano per la mia salute e mi mandavano messaggini: ma ogni volta dovevo scrivere quelle due parole “ancora febbre”. Terribile».

Come passava le giornate?
«Dormivo perché ero sempre stanco e poi mi ha fatto compagnia la tivù: mi sono guardato Italia-Francia credo 27 volte e ho vinto con l’Inter almeno 53 Champions...».

Ma ha avuto poco da ridere.
«Proprio niente. E poi fra lo stereotipo del comico sempre allegrone in casa, forse è più vicino al vero quello del comico un po’ malinconico».

Avevate iniziato l’avventura del Teatro Oscar. E adesso?
«Con Luca Doninelli e Gabriele Allevi avevamo deciso di prendere in gestione questo spazio per dire qualcosa di nostro e stava andando benissimo. Certo, adesso è un problema enorme: ma penso che sia molto peggio per tutti quelli che nel nostro mondo stanno giù dai palchi, che sono rimasti senza lavoro e senza rete. Speriamo che qualcuno si ricordi di loro».

Pensate alla riapertura?
«Certo e apriremo con il mio spettacolo “Chiedimi se sono di turno”, che aggiorneremo sulla base di questa vicenda. Il nostro modo anche per omaggiare tutte le persone che sono state così forti nelle corsie degli ospedali».

Nel frattempo?
«Abbiamo iniziato a usare i social, per non perderci di vista e magari tenere compagnia a chi è a casa. Con Aldo e Giovanni abbiamo messo sul nostro canale youtube due dei nostri spettacoli e ne arriveranno altri. Con gli amici del Teatro Oscar stiamo leggendo “Pinocchio”, ci sono le pillole di psicologia di Daniela Cristofori. Insomma: facciamo di necessità virtù e inventiamo».

Come immagina il futuro di Milano?
«Difficile dire come ne usciremo e nessuna delle scuole di pensiero diffuse mi convince fino in fondo. Di certo il Covid ha minato le nostre certezze e la superbia di chi pensava di poter controllare tutto».

Anche le certezze e la superbia di Milano?
«Milano non è una città superba. E una città fatta di persone operose, innovative e generose e si è meritata tutto quello che ha avuto. Certo, all’inizio anche io facevo gli aperitivi di #Milanononsiferma. Ma abbiamo dovuto fermarci e troveremo una strada per ricominciare».

Come?
«Facendo ciascuno la propria parte senza troppi proclami. Con il Teatro Oscar stiamo preparando un progetto che metteremo a disposizione del sindaco Sala. Sarà il nostro piccolo contributo per aiutare la città: il modo per dire che se è ora di ripartire noi, umilmente, ci siamo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT